martedì 30 ottobre 2012

LA LINEA BIANCA



Qui ed ora corro sulla linea bianca, sono chiuso in un guscio di pelle, muscoli ed ossa. Fuori piove. Qui dentro sto bene, sono felice. Guardo fuori e vedo i miei piedi, avanzano imperterriti, accarezzando l’asfalto bagnato, lungo la line bianca. Dentro sento l’acido che sale e morde i muscoli delle gambe, non me ne preoccupo e respiro. Sono felice. Fuori piove, il lago si increspa al vento ed il brusio dell’impatto di milioni di piccole gocce, che spariscono nella superficie d’acqua, riempie l’aria. Un’altra galleria mi inghiotte, nero e tepore mi avvolgono. Guardo fuori, la linea bianca compare dal buio, mi viene incontro e sparisce sotto il mio corpo. Fuori il battere regolare dei piedi, amplificato dal tunnel, mi tiene compagnia. Dentro il soffio regolare del respiro e le pulsazioni del cuore come un mantra si ripetono. Io me ne resto nel guscio non c’è fuori, non c’è dentro, c’è solo un nucleo caldo dove non voglio che entri la fatica, dove non voglio che entri il freddo. Dove voglio godere istante per istante di questa felicità. Fuori è ancora luce e pioggia, prima che la prossima galleria mi riprenda. Ma lei è ancora lì, la linea bianca, che mi ipnotizza e mi trascina avanti come un muto canto di sirena. I riferimenti chilometrici inesorabili si avvicinano, mi affiancano e restano indietro. Presto sarà tutto finito e non li guardo più. Ora voglio solo godermi questi attimi intensi e felici, metro dopo metro, passo dopo passo, secondo dopo secondo.  Ripenso alla partenza, al momento speciale in cui migliaia di piedi iniziano tutti insieme a muoversi, mi piace sentire il rumore che si sprigiona da questa percussione collettiva, come in un rito tribale. Rivedo il serpentone multicolore che si snoda abbracciato da tanta bellezza. Centinaia di persone che si sono date appuntamento per condividere fatica e piacere,  godendosi quel nastro d’asfalto sospeso sopra le acque e tagliato nella pietra, dove la montagna scoscesa emerge dal lago e sale verso il cielo. Il nastro d’asfalto, finalmente libero dalle auto e dai loro gas, per una manciata di ore è nostro, per poche ore è anche mio. All’inizio si respira un’aria di festa, che pare esplodere nelle gallerie, dove un chiacchiericcio salottiero rimbalza sotto le volte di pietra e cemento, gente che chiacchiera, che si rincontra, che si saluta, sguardi che si incrociano e tutto questo mentre si corre. Cerco la linea bianca e i piedi quasi la aggrediscono, se la mangiano a grossi morsi come per dire: oggi sei mia. Le gallerie si alternano agli spazi aperti e, concentrato nel godere tanta meraviglia, non mi accorgo del tempo che passa, avanzo. L’atmosfera è di festa, c’è pure il sole. Sul lastricato di Riva, tra il castello ed il lago, sfioro i tavolini all’aperto dove i turisti, illuminati dal tiepido sole, si gustano la colazione. Poi la Valle del Sarca si apre, pare immensa, sopra i vigneti ed i frutteti, si alzano sipari di pietra. In fondo emergono il Colodri e la Rupe di Arco. Là c’è il giro di boa. I vicoli di Arco ci accolgono, ci abbracciano e ci risputano lungo il Sarca. La sua corrente ci riporta verso il lago. La linea bianca è sempre lì, fedele compagna, ora ho fatto pace e la sfioro con delicatezza passo dopo passo. Oggi è lì per me o forse io sono qui per lei. Sul lungolago di Torbole vedo un muro d’acqua che avanza da sud. Arriva, è in anticipo. E penso, mi piace correre con la pioggia. Vedere l’acqua che sgocciola dalla visiera del cappellino. Sentire la canottiera ed i pantaloncini che aderiscono al corpo come una seconda pelle e guardare la lama d’acqua sull’asfalto che schizza in ogni direzione e lentamente entra nelle scarpe. La fatica inizia a farsi sentire, cerco la linea bianca e l’aggancio. Ascolto i muscoli che si gonfiano e sgonfiano, ascolto le articolazioni che gemono, ascolto il respiro regolare, il sangue che si ossigena ed il suo pulsare nelle vene, mentre corre con efficacia a portare nuova energia e rimuovere gli scarti. Tutto questo avviene in automatico, non me ne devo preoccupare, devo solo godere della gioia che mi invade per esser lì, ancora una volta a correre in questi luoghi a me cari e di una bellezza particolare. Luoghi in grado di donarmi una carica d’energia che nemmeno il migliore allenamento potrebbe darmi. Sono in galleria, sono solo, guardo ancora una volta il crono e mi stupisco di come e dove  le mie gambe mi abbiano portato. Decido che d’ora in poi non lo guarderò più, lascerò alle mie gambe e ai miei piedi il compito di portami al traguardo. La galleria finisce ed un muro d’acqua mi avvolge, mi rinchiudo nel guscio e sono felice. La linea bianca scorre sotto i miei piedi. D’improvviso termina, l’asfalto lascia posto al selciato e la in fondo il traguardo mi attende. Sono felice, intimamente felice. Esco dal guscio, ha smesso di piovere.
Quarataduemilacentonovantacinque metri di passi sono dietro di me.Q
QQuarataduemilacentonovantacinque metri di pensieri sono dentro di me.

Lake Garda Marathon - 14 ottobre 2012

giovedì 25 ottobre 2012

REGINA DI CUORI - SI RITORNA

Era il primo di Aprile quando accompagnai Fulvio a ripetere la sua Via Regina di Cuori sulla parete sud della Presolana di Castione. Fulvio non ci riusci nemmeno quella volta a liberare il sesto ed ultimo tiro che ancora gli opponeva resistenza. Fulvio, come tutti quelli, che perdono la testa per una bella fanciulla, non si da per vinto e torna a corteggiare la Regina e al suo nono appuntamento, riesce a salire anche l'ultima lunghezza, completamente in libera, e propone una diffcoltà di 7b. Da questa primavera Regina di Cuori attende una ripetizione, le elevate diffcoltà in libera e la necessità di doversi proteggere con protezioni veloci tengono lontano ogni pretendente.


Daniele è da un po che ci pensa e quando mi chiede se lo accompagno, accetto molto volentieri, ad un caro amico non si nega mai un favore. Se poi ci aggiungiamo che andare a corteggiare la Regina in queste giornate autunnali può regalare momenti magici, non mi potevo proprio sottrarre. Ora vorrei fugare ogni dubbio, io, Regina di Cuori, posso permettermi di salirala solo da secondo e magari sui passaggi chiave anche con la corda bella in tensione, senza disdegnare pure di appendermi alle protezioni, quando sono proprio pieno. 
Quindi, quando il sole inonda la parete, eccoci in azione. Fantastico. Si arrampica in maglia a mezze maniche e la roccia è calda. La foschia invade il fondo valle e tutto attorno regna il silenzio o per meglio dire il silenzio della natura, che è sempre ricco di mille suoni e sfumature. Seguo Daniele tiro dopo tiro , più si sale e più la roccia migliora ed il vuoto sotto di noi diventa significativo. Con un tempo meteo simile, non potevamo esimerci dallo scattare una valanga di foto. e tante altre immagini che abbiamo semplicemente catturato con gli occhi. Un gallo forcello si invola al nostro passaggio. Dei camosci corrono lungo il ghiaione basale. Un picchio muraiolo, disegna arabeschi di rosso scarlatto sul sipario di pietra, per sparire nei buchi di questo calcare. I gracchi chiassosi disturbano una coppia di pernici che si involano già vestite dalla loro elegante livrea invernale. Migliaia d'insetti ronzano nel cucinetto d'aria calda che accarezza la parete. Noi lì, ascoltiamo, guardiamo e passiamo discreti senza tanto chiasso, come strani animali che non avevano null'altro da fare in questa favolosa giornata d'autunno.
Domani arriva la perturbazione, il fredo e forse la neve. Anche per questo il piacere che proviamo è ancora più intenso.
Ringrazio Fulvio per avere chiodato Regina ed avermela fatta conoscere e Daniele per avermi permesso di tornare su Regina.
Per la cronaca. Daniele fa un resting al quarto tiro di 7a+ che richiede movimenti di difficile lettura e si arena nell'ultimo tiro su quei pochi metri di 7b proposto. Lui dice che è almeno 7c ed anche duro. Si attendono quindi altri corteggiatori che abbiano il desiderio ed il piacere di andare a rendere omaggio a Regina di Cuori.

Quindi vi regaliamo un'infinita fotogallery con le nostre belle faccione ed il nostro culone sempre in evidenza. ALLENARSI!

martedì 16 ottobre 2012

PICCOLE STORIE #3



Tu mi dicevi che la verità e la bellezza non fanno rumore
Basta solo lasciarle salire, basta solo lasciarle entrare
È tempo di imparare a guardare
È tempo di ripulire il pensiero
Cristina DonàSettembre

Prospettive
Anche questa mattina mi incammino lungo il solito sentiero. Quante volte l’ho percorso in questi anni, all’andata e al ritorno dalle pareti verticali. Il sentiero è sempre lo stesso, uguali sono il bosco, le radure ed i pascoli che attraversa, salendo sino ai ghiaioni che abbracciano le bastionate rocciose. I giorni cambiano con l’incedere delle stagioni e il trascorrere del tempo, ma il sentiero non cambia, sale e scende lungo i fianchi del monte. Ogni volta che mi incammino non è mai uguale all’altra: “perché ogni nostro passo - come mi ricorda l’amico Davide - è un’attenzione”, un evento in cui ogni contatto con la terra assorbe e disperde energia ed emozioni. Bisognerebbe ascoltare il proprio passo come se fosse unico, sentire la cedevolezza del terreno fresco del bosco, il frusciare dell’erba che sfiora le caviglie e il crepitare della ghiaia smossa dalle suole. Bisognerebbe affrontare il cammino con una disponibilità incondizionata ad aprirsi ai luoghi attraversati e a quello che ogni volta possono raccontarci.
Mentre salgo nel caldo di un pomeriggio estivo o nel freddo di un’alba autunnale, gli occhi continuano a catturare immagini, cambiando prospettiva senza esitazioni e la fotografia che fisso e ripongo nei cassetti della memoria non è mai la stessa. Abbassarsi e modificare il proprio punto di vista, sino a sentire il profumo della terra e a respirare la polvere, mi regala sensazioni straordinarie. Posso assaporarle per un momento, o lasciarle libere di andare o ancora riporle dentro di me per condividerle.
Passo dopo passo salgo e ritrovo quella radice contorta che emerge tra le rocce e la terra, quel blocco affiorante dalla forma bizzarra, quel profilo all’orizzonte che ricorda il viso di un vecchio assopito. Il sudore scende negli occhi e brucia, il peso dello zaino mi schiaccia a terra, ho già vissuto queste sensazioni ma oggi è ancora diverso. Alzo gli occhi verso le pareti e scorgo una linea mai vista iniziando a pregustare il momento in cui sarò lassù. Mi volto e prima di continuare il cammino, ancora per un attimo osservo il mondo che si stende sotto il mio sguardo.

giovedì 11 ottobre 2012

TITO E LA PARETE DEL FUPU' - PRESOLANA




Ringrazio Tito per avermi stimolato a preparare questa piccola scheda sulla Parete del Fupù. Tito lo conoscete, inutile presentarlo, diciamo solo che è un insaziabile divoratore di vie rigorosamente dal sapore alpinistico. Lo scorso inverno, con Saro Costa, proprio su questa parete ha siglato la prima invernale alla Via Sergio e Marco Dalla Longa. Ora al termine della trascorsa estate è tornato in zona e ha percorso la Via Gregis anche conosciuta cone Via Fassi. Evita lo zoccolo friabilissimo e parte dalla cengia lungo la lunghezza in comune con la Via Sergio e Marco dalla Longa. La linea è bella e discretamente chiodata, la roccia buona. Insomma a parere suo merita di essere ripetuta. Nell’occasione Tito percorre tutta la linea in libera con esclusione del passo in A0 sul primo tiro e un tratto di A1 sul quarto tiro, per il resto le difficoltà non superano il VII°-. Per chi volesse ripeterla allego la foto con il tracciato e “l’artistico” schizzo scaturito dalle mani di Tito.
Qui trovate la gallery fotografica della salita di Tito
RELAZIONE
Parete del Fupù.  Via Gregis, anche conosciuta come Via Fassi
1973 F.Nembrini, A.Fassi. A Camozzi. 300m, VII- A1
Materiale: la via è sufficientemente chiodata, ma non tutti i chiodi sono ottimi.15 coppie, cordini per clessidre, friend (anche piccoli), dadi, martello e qualche chiodo.
L1: Dal alberello sulla cengia innalzarsi seguendo i chiodi fino alla sosta su cengia erbosa. 7b o V A1
L2: Seguire la rampa erbosa e superare il masso sulla sinistra, proseguire sulla cengia verso sinistra per 10 metri raggiungendo la Sosta alla base della fessura più a sinistra. III
L3: Salire la fessura fino ad e successivamente puntare al diedro sulla destra sostando prima di arrivarci. V
L4: Salire il diedro-fessura prima con arrampicata libera VI , uscendo poi in artificiale verso sinistra e rientrando superare un tettino, obliquano poi su erba si raggiunge la comoda sosta su cengia. VI-A1
L5: Salire il diedro fessurato per 15 metri e, prima che diventi una larga fessura, uscire a sinistra in placca per raggiungere una fessura e risalirla. Sosta in cengia. VI
L6: Salire delicatamente la lama staccata fino al culmine. Seguire prima il diedro che si tramuta in fessura fino alla fine, prestando attenzione alla roccia delicata, seguire la lama verso sinistra e risalire il diedro. Sosta a sinistra della nicchia. VII-
L7: portarsi alla base del grande diedro. III
L8: puntare i chiodi a sinistra e poi risalire il diedro. V+
L9: salire il diedro e portarsi in cresta. IV

PRESOLANA ORIENTALE (2485 M)
Parete del Fupù (nord-est)

Percorrendo il Sentiero della Porta, che dal rifugio Albani conduce al Visolo, dopo il primo tratto attrezzato con scalette e cavi d’acciaio si giunge su uno spartiacque che divide, a destra, la conca del Polzone, a sinistra, la conca del Fupù. Diritto sopra di noi sale lo spigolo nord della Presolana Orientale percorso dalla Via Caccia – Piccardi aperta nel 1929 alla sua sinistra si presenta in tutta la sua verticalità la parete nord-est della Presolana Orientale, meglio conosciuta come Parete del Fupù. Uno scudo di calcare che dai ghiaioni e dai nevai della conca sale per 400 metri di dislivello sino alle creste terminali. I primi a lasciare una traccia del loro passaggio sono i fratelli Longo che nell’agosto del 1933 attaccano la parete nel suo punto più basso e con un percorso in diagonale verso sinistra ne raggiungono il punto più alto con difficoltà sino al V° ed un tratto in A1 (Via Fratelli Longo). Solo nel 1958 viene ripetuta per la prima volta da Pezzini, Conti e Giudici. Il silenzio cala nella conca e dobbiamo attendere il 1969 quando, il 27 e 29 settembre, Antonio Fantini, Luigi Pegurri, Bruno e Luigi Buelli, salgono una nuova linea, lungo il pilastro che chiude a sinistra la parete (Via Fantini). 350 metri con difficoltà sino al V+ A2. A seguire nel 1973, il 14 e 15 giugno, nella porzione di destra della parete viene aperto un nuovo itinerario. F. Nembrini, A. Fassi e A. Camozzi aprono la “Via a Gregis”, le difficoltà sono sostenute sino al V+ e con alcuni tratti in A1 e A2. La via, ai più conosciuta come Via Fassi, riscuote un certo successo e conta alcune ripetizioni. Tra i ripetitori abbiamo anche i fratelli Dalla Longa, Marco e Sergio individuano la possibilità di salire una linea nuova che parte dal punto in cui la Via Fassi incrocia il cengione, che scende dall’attacco dello spigolo nord, e sale verso sinistra. Nell’agosto del 1986 nasce la Via Sergio e Marco Dalla Longa, i due partono dalla cengia lungo la Via Fassi e piantano uno spit dove c’è la sezione in A0, sarà l’unico passaggio in artif su tutto l’itinerario. Dopo la prima lunghezza in comune si spostano a sinistra, nel cuore della parete. Le difficoltà si mantengono tra il V ed il VI+. L’itinerario viene ripetuto più volte e nel 2007 risistemato da Ennio Spiranelli e Giangi Angeloni, che anni prima ne aveva siglato la prima solitaria. Yuri Parimbelli la ripete e libera la prima lunghezza, quella in comune con la Via Fassi, gradandola 7b. Sempre nel 2007, a destra di questa linea, sempre partendo dalla cengia che scende dall’attacco dello spigolo nord, Yuri Parimbelli e Roby Piantoni aprono una linea decisamente impegnativa ed expo, dedicandola ai fratelli Dalla Longa: Via a Marco e Sergio. La via è protetta esclusivamente a chiodi e presenta difficoltà sostenute sino all’VIII° obbligato, inutile dire che non è ancora stata ripetuta.
Possiamo affermare che la parete del Fupù, scomoda e lontana, ci regala sei linee che raccontano la storia dell’alpinismo bergamasco dell’ultimo secolo. Dalle vie degli anni 20/30 che seguivano le linee più logiche lungo spigoli o evidenti camini e fessure, alle vie moderne salite con l’ausilio di pochi chiodi, protezioni veloci e difficoltà significative.


Di seguito recupero i post del progetto QUELLI CHE STANNO A NORD, con le relative relazioni e fotogallery.

28 settembre 2007
VIA MARCO E SERGIO DALLA LONGA
Come promesso rieccoci a nord per narrare con calma quanto successo in questa estate che volge al termine, storie parallele al nostro progetto, ma sempre storie di QUELLI CHE STANNO A NORD.
La Presolana Orientale nasconde sul suo versante nord un'impressionante muro, lo si può vedere solo se si percorre il sentiero della Porta, dopo un'ora di cammino partendo dal Rifugio Albani: si tratta della parete del Foppone, meglio conosciuta come Fupù.
Sino al 1986 oltre allo spigolo nord ed altre due linee alla sinistra, nella sua parte centrale era percorsa solo dalla via Fassi. In quell'anno, nel mese di Agosto, Sergio e Marco dalla Longa, partendo dalla cengia che taglia la parete, aprirono un nuovo itinerario. Misero uno spit sul primo tiro, salito in artificiale, per il resto arrampicarono in libera con difficoltà sino al sesto superiore e su roccia in alcuni casi di dubbia qualità. Da allora la via è stata ripetuta solo una volta, in solitaria da Giangi; il 10 agosto Giangi torna con Ennio, prova la prima lunghezza e proseguono alternandosi in testa alla cordata.
La voce si diffonde tra gli amici, nonostante lo stampo alpinistico e la roccia in alcuni tiri non particolarmente buona, viene ripetuta nei giorni a seguire: Yuri e Piera, Daniele e Jerry, salgono a ripeterla, Yuri sale a vista la prima lunghezza che dovrebbe essere attorno al 7b.
Un gran bel modo per ricordare Sergio e Marco ... ripercorrendo le loro tracce.
Un particolare grazie a Ennio e Giangi che hanno messo a disposizione le immagini della loro salita e la relazione originale stesa da Sergio.

19 ottobre 2007
VIE NUOVE IN PRESOLANA
Le storie di QUELLI CHE STANNO A NORD non si fermano e non si fermeranno.
Abbiamo ripetuto vecchie linee dimenticate, itinerari facili e difficili.
Abbiamo ripreso, intervistato, chiacchierato.
Abbiamo suonato ed ascoltato, mangiato, bevuto e sorriso.
Insomma ci siamo divertiti e ci stiamo divertendo.
Ma le facce da nord, o per lo meno alcune di loro, san fare di più: fantasticare su nuove linee e poi concretizzarle, lasciando nuove tracce tra le quinte rocciose della Presolana.
Questa estate due sono state le nuove vie aperte, antitetiche tra loro, anche se frutto della stessa passione.
Una ombrosa e schiva, l'altra solare ed evidente.
Una ad ore di cammino dal fondovalle in uno dei luoghi più nascosti del massiccio. L'altra a dieci minuti dall'auto, sotto gli occhi di tutti gli automobilisti che dal Passo della Presolana scendono in Val di Scalve.
Una con chiodatura classica e ridotta l'osso, obbligato elevato ed impegno psicologico notevole, l'altra ben protetta e più accessibile, oserei dire "plasir" o quasi.
La prima "Via a Marco e Sergio" è stata aperta il 10 agosto 2007 da Yuri e Roby sulla Parete del Foppone alla Presolana Orientale, un itinerario esigente che richiede di possedere il grado e una gran testa e che aspetta ancora la prima ripetizione.
(Le immagini dell'apertura il PDF della relazione)
La seconda "Via Serenella" è stata aperta l'8 settembre 2007 da Roby, Matteo e Patrik sul Torrione Visolo, un breve e divertente itinerario su roccia a tratti stupenda, in una zona accessibile e comoda, che promette notevoli sviluppi futuri.
(Le immagini di una ripetizione)
Stili differenti, etiche differenti, ma che denotano rispetto e amore per la storia e per i luoghi.

sabato 6 ottobre 2012

LA PRESOLANA E LE VIE DI GIANGI



LE VIE DI GIANGI
Vista la sua ultima realizzazione “A piede libero” è doveroso fare il punto su chi è Giangi Angeloni. Premetto che Giangi inizierebbe a dirmi che le vie non sono sue e che da solo non sarebbe andato da nessuna parte e che gli amici sono stati fondamentali nella realizzazione di queste linee. Come sempre lui è modesto così come i suoi compagni di cordata, che sono al suo pari, e con cui si è sempre alternato in apertura. Oltre a Yuri Parimbelli, che su "Il senso della misura" si è sparato in apertura il tiro di 7b obligato ed expo, il suo compagno abituale d'avventura: Daniele Calegari, viaggia come un treno tanto quanto lui. Insomma Giangi e Calega sono una GRANDE CORDATA.
Come già detto Giangi non è nuovo a questo tipo di salite e sulle pareti della Presolana numerosi sono i segni del suo passaggio. Con Ennio "guru" Spranelli nel 2000 sigla la prima invernale della "Grande Grimpe" sulla nord. Mentre come chiodatore inizia nel 2006 quando, in compagnia sempre di Ennio Spiranelli, è sulla cosiddetta Ovest, ovvero la parete Nord della Presolana di Castione. Quì inizia la sua attività d’apertura con la nascita di “In cammino con Marco e Cornelio”. Una via a chiodi (pochi) decisamente alpinistica, bella ed impegnativa, Ivo Ferrari ne fa la prima ripetizione e la prima solitaria. In sei anni sono sei le cordate che la ripetono, confermandone la bellezza e l’impegno. 
Poi Giangi sviluppa una sua idea in merito all’etica e allo stile di apertura di nuove linee. In questi sei anni confeziona altre 6 linee, di cui 5 con Daniele Calegari, dove impegno, padronanza del grado e capacità di sapere leggere la roccia si fondono. Le ripetizioni delle sue vie non sono numerose ed alcune attendono ancora la prima ripetizione, chi si è avventurato in questi viaggi verticali ne ha apprezzato la bellezza e lo stile rigoroso.
Lasciamo ora la parola a Giangi e ringraziamo la redazione dell’ANNUARIO del CAI di Bergamo, per avere concesso la divulgazione di questo articolo pubblicato nella recente edizione 2011.
In chiusura troverete tutti i link per scaricare le relazioni delle vie.
Buona lettura e buone scalate.

(Per)Seguire un’idea
Etica e stile nelle nuove aperture
di Giangi Angeloni
(pubblicato su: ANNUARIO 2011 – CAI Bergamo)

Scegliere dove salire. Nell’alpinismo primordiale era piuttosto scontato. Il massimo risultato - la cima - con il minimo sforzo - la linea meno ripida e più sicura - Questo era il ragionamento con cui coerentemente si facevano le scelte, questa era la logica di una via.
“Conquistata” la vetta l’attenzione venne rivolta ai diversi versanti, alle pareti più ardue. Era semplicemente la “ricerca del facile nel difficile” e le modalità di utilizzo degli strumenti stavano in secondo piano.
Inevitabilmente poi sulle nostre Alpi gli spazi si sono ristretti, “l’ultimo problema” è stato risolto, ma l’alpinismo non è finito. O perlomeno gli uomini continuano ad aprire vie di arrampicata sulle montagne, forse troppe. La tecnologia ha messo a disposizione mezzi migliori e sempre più diversificati moltiplicando le visioni e i sistemi di scalata al punto che anche per gli “addetti ai lavori” risulta a volte complicato capirne l’evoluzione o l’involuzione.

Racconto la mia esperienza. Sono appassionato di arrampicata su roccia cercando di farla in libera. Dopo dodici anni passati a ripetere vie mi capita di iniziare ad aprirne. La cosa strana è che l’esordio avviene in una sperduta valle pakistana. Sembrerà paradossale ma ritengo sia stato più semplice: tanto spazio vergine a disposizione su roccia granitica. Cerchiamo perciò il facile per arrivare in cima a un grande pilastro. Sono molte le evidenti linee di fessure che possiamo scalare spesso in libera e a volte in artificiale, è relativamente agevole proteggerci con metodi diciamo tradizionali. Più difficile, per noi, è valutare la grandezza di quelle enormi montagne. Non siamo abituati, ci sembra tutto grande la metà. Dopo 600 metri dobbiamo interrompere il nostro tentativo.
In seguito poche altre simili esperienze extraeuropee.
Finalmente ho l’occasione di aprire la prima via nuova vicino a casa. Trovare un’opportunità richiede uno sforzo di ricerca che Ennio fa da sempre: mi propone un problema di stampo ”classico”, un lusso sulla Presolana del 2006. Mi appare chiaro che capire quanto e come riuscirò a proteggermi su questo calcare è una faccenda a volte rognosa. Apriamo una bella via logica e alpinistica (a detta anche dei ripetitori).
La curiosità, la ricerca di nuovi stimoli e, non ultimo, la sintonia con Daniele sono le molle per provare ad aprire nuove linee su pareti più ripide. La compattezza dei muri, a volte strapiombanti, che svelano la possibilità di linee nuove, ci spinge ad usare trapano e spit. Dobbiamo però imparare, iniziare un nuovo percorso. Abbiamo in mano, nel bene e nel male, strumenti molto potenti. Vogliamo perciò usarli non per salire ad ogni costo ma per renderli funzionali alla realizzazione di un’idea: aprire su roccia solida una via di arrampicata libera cercando di lasciare il più possibile “puliti” i passaggi significativi, che si lasci scalare da chi si muove su quelle difficoltà e che disegni sulla parete una linea che ci piaccia. Cerchiamo di non interferire con eventuali vie presenti nei dintorni per non modificarne la natura. Decidiamo di non portarci i chiodi da fessura e di arrampicare in libera fra uno spit e il successivo: piazzando, quando riusciamo, protezioni veloci, appendendoci ai ganci per forare quando non ce la sentiamo di proseguire.
Niente di nuovo, questo “moderno” stile di apertura viene adottato in ambito europeo almeno da vent’anni, con diverse varianti interpretative.
Molti sostengono non sia più alpinismo. Ecco, sono entrato nel ginepraio.
Ne esco subito dicendo che non è mio obiettivo dirimere la questione inerente il come debba essere fatta una via alpinistica. Credo sia importante descrivere lealmente ciò che si fa.
Mi sembra di poter dire che anche queste vie moderne sono logiche perché seguono un tracciato funzionale all’idea che intendiamo realizzare. Il rigore nel rispetto delle regole e l’incertezza (ovviamente la parete non viene preventivamente ispezionata calandosi), assieme all’impegno psico-fisico dato dalle protezioni rarefatte, rendono interessante il “gioco” e implicano la rinuncia se non abbiamo le capacità per passare. I pericoli purtroppo esistono. La tenacia a volte è necessaria per insistere fino ad avere capito la giusta soluzione di qualche ostico passaggio. La lettura delle difficoltà della parete richiede capacità di autovalutazione ed esperienza.
La misura che separa l’indelebile “punteggiatura” di spit su muri forse altrimenti improteggibili dà il senso delle capacità ma anche delle nostre debolezze ed errori ed esprime un po’ della nostra personalità. A volte essa rappresenta un atto di responsabilità, non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, perciò teniamo saldamente i “piedi per terra”.
Alcune considerazioni: il completamento dell’apertura in stile classico esaurisce l’impegno degli apritori, mentre una via “moderna” prevede una seconda fase che è la ripetizione in arrampicata libera. Non riuscirci significherebbe il fallimento sportivo della creazione, ma aprire in questo stile  è garanzia che ciò sarà possibile. Finora ce l’abbiamo sempre fatta, ma se così non fosse successo saremmo stati felici che un arrampicatore più bravo avesse completato l’opera.
Le ripetizioni sulle vie tradizionali di solito fanno lievitare il numero di chiodi che rimangono in parete, snaturando purtroppo col tempo il carattere della via originaria. È insensato invece che si vada a ripetere queste altre vie portandosi il trapano o i chiodi, perciò la probabilità che conservino le loro caratteristiche è più alta.
L’unità d’azione di una nuova scalata viene spezzata provocando polemiche già più di mezzo secolo fa (se non sbaglio Magnone sulla Ovest del Petit Dru). Sicuramente invece lo stile alpino - inizio la via e scendo quando è terminata - si trova in cima alla scala di impegno e di valore, ma ora è il meno utilizzato, mentre pare sia pratica comune aiutarsi in fase di apertura con le corde fisse che permettono di risalire successivamente con facilità, ripartendo rapidamente dal punto più alto. Oppure giungervi la volta successiva percorrendo la prima parte di un’altra via più facile o magari attraverso una cengia. Mi pare indiscutibile come queste facilitazioni riducano l’altezza e le difficoltà effettive dell’intera parete, tanto che in alcune circostanze capita addirittura che siano i ripetitori i primi a scalare la via in un’unica soluzione. Anche noi siamo risaliti sulle fisse in un’occasione che ci ha lasciato però in seguito un po’ di amaro in bocca. Poi abbiamo adottato la via di mezzo: tornare successivamente scalando però ogni volta i tiri già aperti. Viste la nostra disponibilità di tempo e capacità, ciò ha spesso dilatato la durata delle aperture a tempi quasi “geologici”. Non ha importanza. E’ un bene che non si “consumino” eccessivamente le aree di arrampicata. È giusto che le nuove generazioni possano avere spazio sulle montagne di casa per esprimersi e mostrarci magari una nuova visione.
Noi comunque ci divertiamo a stare in parete, discutendo a lungo sul da farsi, vivendo le nostre piccole avventure senza fretta, impiegando a volte giornate intere per progredire di pochi metri… o nemmeno quelli. Inseguendo la nostra idea.

PRESOLANA DI CASTIONE 2474 m – Parete S
Via "EN.YU.DAN.CE. WITH FRIENDS" 150mt 7a (6c obbl.) R3 II;
Via "BARBISOTTI-PASINI-ZANGA" (1977); 200mt. 7b e 3p.A0 (6a/A0) SR1 II;
Qui trovate i PDF della RELAZIONE SCHIZZO - LINEA

PRESOLANA ORIENTALE 2490 m– ANTIFUPU’– Parete NE
Via: DILETTANTI ALLO SBARAGLIO
Primi salitori: Giangi Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2008 – I libera 10 agosto 2008
Difficoltà: 7a+ (6c+ obb.) SR3-III
Dislivello: 450 m
Qui trovate i PDF della RELAZIONE SCHIZZO - LINEA

PRESOLANA ORIENTALE 2490 m– ANTIFUPU’– Parete NE
Via: NEL DUBBIO ALLENARSI
Primi salitori: Giangi Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2009/2010 – I libera 22 luglio 2010
Difficoltà: 7c+ (7a obb.) SR3-III
Dislivello: 220 m
Qui trovate i PDF della RELAZIONE SCHIZZO - LINEA

PRESOLANA DI CASTIONE 2474 m – Parete S
Via: COL SENNO DI POI
Primi salitori: Giangi Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2008 e il 2009– I libera 19/07/2009
Difficoltà: 7b (6c+ obb.) S3-II
Dislivello: 200 m
Qui trovate i PDF della RELAZIONE SCHIZZO - LINEA

PRESOLANA OCCIDENTALE 2521 m – Parete N
Via: IL SENSO DELLA MISURA
Primi salitori: Giangi Angeloni, Daniele Calegari e Yuri Parimbelli – aperta in più riprese tra il 2008/2009 – I libera 04 luglio 2010
Difficoltà: 7b (7b obb. expo) SR4-III
Dislivello: 330 m
Qui trovate i PDF della RELAZIONE SCHIZZO LINEA

PRESOLANA –Corna delle Quattro Matte 2240 m – Parete S
Via: A PIEDE LIBERO
Primi salitori: Giangi Angeloni, Daniele Calegari– aperta in più riprese tra il 2009/2012 – I libera 16 settembre 2012
Difficoltà: 7c+ (7a obb.)
Dislivello: 280 m + 50 m di ripido prato
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