domenica 28 luglio 2013

FINALMENTE! UN GIARDINO.



Fermo per otto settimane. Una banale caduta in moto, una gran botta al ginocchio sinistro. Nessun danno, nessuna frattura, solo un gigantesco ematoma sotto la rotula, che fiorisce con i suoi petali violacei sotto pelle. Un versamento e un’infiammazione che devono essere riassorbiti, con calma, senza fretta. I tempi del mio corpo però viaggiano più lenti dei tempi del mio desiderio. Desiderio di tornare a scalare, di continuare a correre, di riuscire a realizzare, nell’estate imminente, almeno un progetto, un sogno, una grande salita in quota.
Fermo per otto settimane. Tutto salta ed i desideri, i sogni, i progetti vengono riposti nei tanti cassetti dell’armadio di legno antico, che se ne resta laggiù nell’angolo più appartato della mia mente, della mia anima. Mi adeguo ai tempi del mio corpo e cerco di ascoltare gli impercettibili miglioramenti che vive il mio ginocchio, ascolto il mio camminare, i dolori e i fastidi. Mi incazzo per le ricadute, per gli stop e i passi indietro, ma poi accetto. Non posso non accettare le richieste del mio corpo, lo stesso corpo con cui sono cresciuto, che mi fa correre con piacere, lo stesso che mi permette di soddisfare desideri, scalare montagne, lavorare, vivere, invecchiare. Qualcosa gli devo a questo mio corpo. Quindi lo ascolto senza forzare.

Fermo per otto settimane. Dopo quattro settimane e dopo un paio d’anni di assenza dalla piscina, una domenica mattina mi ritrovo in vasca. Solo braccia per quasi un ora, le gambe a traino ed il sole che gioca sopra e sotto lo specchio di acqua clorata ed azzurra. Fuori l’aria è fresca. Un ritorno piacevole tra le corsie, mi torna la voglia di nuotare e di immergermi nei pensieri che accompagnano i gesti, apparentemente identici, ripetuti come un mantra all’infinito. Si nuota e la mia camminata migliora.
Fermo per otto settimane. Dopo sei settimane, ormai quando il nuoto è tornato ad essere una piacevole abitudine, rispolvero la bici da strada. Con calma e senza fretta torno anche al movimento ciclocentrico, pedalata dopo pedalata ascolto il ginocchio e sento che lentamente migliora. Il desiderio di arrampicare e di correre resta lì, latente, in attesa. Una sera, dopo il lavoro, vado in falesia e provo a fare due tiri, il feeling è buono, ho solo paura di battere il ginocchio contro la roccia. Presto attenzione.

Fermo per otto settimane. Sento che è venuto il momento di ripartire. Lo scorso sabato decido che non inizierà la nona settimana senza scalare. Daniele e Ale vanno sulla Nord per ripetere la “Via del Cuore”, allora sento Marco e gli propongo una passeggiata verticale su “Un giardino per Gianmario”. Marco, “Re Cardu” per gli amici, accetta e alle 6,30 siamo a Colere. Pronti … via! Daniele scatta e lo rivediamo solo al rifugio. Camminare in salita non mi da problemi. Raggiunto Dan in breve siamo alla base della parete. Sono curioso di tornare sul Giardino, l’ultima volta, oltre 12 anni fa, l’ho salito con Mimmo. Saliamo a comando alternato, sette ore di puro piacere, per scalare le 13 lunghezze di corda che ci portano in cengia. Le difficoltà non sono esagerate, ma la via non è mai banale. La roccia su alcune lunghezze è meravigliosa e solo in brevi tratti facili si deve prestare attenzione. Scalo con calma, ascolto il corpo, voglio godermi ogni minimo istante, voglio sentire il vuoto che cresce sotto di me, voglio sentire la fatica che invade come una marea ogni singola fibra dei miei muscoli. Per Marco è la seconda volta sulla Nord, ce la stiamo proprio godendo questa scalata. In cengia mi sento stanco e legnoso, una breve pausa ed iniziamo la lunga serie di doppie che ci depositano alla base della parete, presso i nostri zaini. A questo punto la Regina non può fare a meno di ammantarsi di nubi e rinfrescarsi con un temporale. Bagnato fradici iniziamo la discesa. Il ripido e viscido sentiero mi mette alla prova, alla fine il ginocchio è indolenzito e un poco gonfio, ma in quell’istante mi sento un uomo fortunato, ringrazio il mio corpo, ringrazio la Regina, riapro qualche cassetto dell’armadio di legno antico e penso: OK! Finalmente si riparte!

Photogallery – Passeggiando sulla Regina nel giardino di Gianmario
La relazione - “Un giardino per Gianmario” - 430 m, 13 L, 6c (6a+ obbl. A1)

LE PARETI DI ENNIO



Nell'aprile 2009 Alp dedica la copertina alla Presolana, in una bellissima foto di Riky Felderer c'è Piera Vitali che scala su Miss Mescalina. Nelle pagine interne della rivista si trova una monografia dedicata alla nostra Regina. Tra gli articoli, che avevo scritto allora, vi era anche "Le pareti di Ennio" che vi ripropongo. Questa storia ora meriterebbe di essere aggiornata perchè in questi pochi anni Ennio Spiranelli ha creato altre quattro linee di cui tre sulla sua parete preferita "La Ovest". Anche per questo motivo siamo tornati a scalare sul mantello di pietra della Regina accompagnati da Matteo Zanga, amico e fotografo di gran classe e dotato di una sensibilità particolare.

 LE PARETI DI ENNIO
 
Esisteranno sempre avventuriere: esseri sradicati, incapaci di adattarsi, costantemente in partenza, che non hanno mai tregua e stanno sempre con un piede sollevato. Se vedono una montagna devono scalarla, se vedono un baratro ci si devono tuffare, se scoppia una tempesta si piazzano con il viso controvento. Si portano dietro una sorta di eterno prurito. A volte riescono nell’impossibile: d’un tratto il sole li riscalda in faccia.
Mikael Niemi “Il manifesto dei cosmonisti”


Molti sono gli alpinisti che hanno trovato una loro linea tra le pieghe del mantello di pietra della Regina. La storia alpinistica di questa montagna è una storia corale, fatta soprattutto da bergamaschi e bresciani. Curiosando nell’elenco delle vie vi è però un nome che ritorna regolare dal 1980 sino ad oggi, quello di Ennio Spiranelli. Lui ha dato inizio ad un differente modo di concepire ed aprire nuove vie. Con la sua banda di amici ha lasciato tracce del suo passaggio su ogni versante e ogni parete. La sua passione non si è esaurita in poche stagioni. Tutti gli anni una pulsione non sopita lo spinge ad esplorare ogni angolo di questo massiccio, dalle potenzialità apparentemente inesauribili.
Tutto ha avuto inizio il 9 e 10 agosto del 1980 quando Ennio, con Sandro Fassi e Gigi Rota, sale “A Federico” (dedicata a Federico Madonna) sulla parete sud della Presolana di Castione. A distanza di anni si comprende appieno quanto questa salita abbia portato un cambiamento radicale nel piccolo mondo alpinistico locale. Sino ad allora sulla sud si andava per salire lo spigolo dei fratelli Longo del 1931 e la via di Bramani e Ratti del 1943. Le altre linee degli anni “60 e “70 venivano ripetute raramente, vuoi per i tracciati a volte poco interessanti ed estetici, vuoi per l’abbondante ricorso all’artificiale, vuoi per la necessità di doverli richiodare. Il vento del “nuovo mattino”, oltre alle EB Supergratton e la fascia tra i capelli, porta aria nuova anche in queste valli. Si sognano placche solari da salire in libera, si discute di protezioni veloci, non più di “lotta con l’alpe” ma di gioco e piacere da condividere con gli amici. Sulla Presolana di Castione Ennio & C intuiscono una linea: la vogliono estetica e su roccia buona: “Avevo18 anni – ricorda Ennio – il mio primo tiro da capocordata, il mio primo bivacco in parete. Non riuscivamo a dormire. Sandro, per ammazzare il tempo, aveva inventato un giochino con alcuni sassolini. Sotto di noi le luci di Castione e dietro il Corzene sbucavano fuochi d’artificio. Il mattino dopo i miei compagni mi mandarono davanti a chiodare. Non mi sembrava vero. Fu la prima via aperta in Presolana, chiodata in funzione dei futuri ripetitori, non togliemmo nessuno dei chiodi messi per la progressione. In poco tempo diventò una superclassica. Sempre con Sandro e Gigi, il 21 dicembre dello stesso anno tornammo per la prima invernale
“A Federico” diventa subito una via di riferimento e le ripetizioni sono innumerevoli, le difficoltà arrivano sino al VII, i chiodi sono tutti in loco e basta un mazzetto di dadi per integrare le protezioni nelle fessure. La lama a mezzaluna, la placca compatta, il muro giallo diventano, negli anni, riferimenti precisi per chi si accinge a ripetere le nove lunghezze di questa via. Ancora oggi resta una classica del massiccio che non sfigura affatto accanto agli itinerari a spit che la circondano e rispetto ai quali mantiene un maggiore fascino.
Il 6 novembre del 1983 con Antonello Moioli, Vito Bergamelli e Massi Fassi salgono “Tramonto di Bozard” al Torrione Sud della Presolana di Prato. “Eravamo appena tornati da un viaggio a Fointainbleau. L’arrampicata incominciava ad essere qualcosa di più di un semplice passatempo. Avevamo dei pantaloni scozzesi coloratissimi che ci facevano sentire più forti e soprattutto diversi dagli alpinisti con i pantaloni alla zuava. Con pochi chiodi ed un mazzetto di dadi ed eccentrici abbiamo salito queste cinque lunghezze, su roccia compatta e lavorata dall’acqua. Il VI grado era già un bel risultato per noi, ma la soddisfazione più grande era vedere nei mesi successivi numerose cordate impegnate sulla nostra linea
Nel 1985 Ennio, ancora con Gigi ed Antonello, ai quali si aggiunge Mario Carrara, torna sulla sud della Presolana Centrale e sulle placche a sinistra dello spigolo Bramani-Ratti. Il 14 luglio, salgono “SA.VI.AN” una bella linea su roccia compatta, con uno sviluppo di 250 m e difficoltà sino al VI A1. Chiedo ad Ennio il perché di questo nome: “Nei mesi precedenti tre amici ci avevano lasciato. Andrea per un incidente motociclistico, Sandro e Vito nel massiccio del Bianco, mentre stavano concludendo la salita della Sentinella Rossa alla Brenva. Io e Antonello, sulla Sentinella, eravamo pochi metri avanti a loro, ormai fuori dalle difficoltà, quando li abbiamo visti scivolare e sparire nel vuoto.- Ennio tace per un attimo, deglutisce, un respiro profondo e riprende a parlare - Questa via e’ nata dal desiderio di dedicare loro una salita”. Nell’inverno successivo con Antonello torna sulla via per la prima invernale.


Sempre nel 1985 e sempre in compagnia di Antonello e Gigi, in due giorni d’autunno aprono “G.A.N.” (Gruppo Alpinistico Nembrese), la via più lunga del massiccio: 700 m, sull’imponente parete nord della Presolana di Castione. Anche in questo caso utilizzando solo chiodi e protezioni veloci, e le difficoltà giungono sino al VI A1. “Gigi aveva adocchiato questa linea, che ci lasciava perplessi rispetto alla qualità della roccia. Due giornate intense passate in parete, tra dubbi sul percorso da seguire, nebbia e roccia talvolta mediocre. Ricordo che sugli ultimi tiri, a causa di un temporale in arrivo, i capelli si drizzavano e l’aria friggeva d’elettricità. Giunti in vetta la gioia è stata immensa. Si tratta ancora oggi di una salita che ha il sapore di antico e che sono tornato a ripetere altre volte. Nel febbraio del 1990 sempre con Gigi ed assieme a Marco Birolini, ci sono tornato d’inverno. Due giorni intensi e freddi per arrivare a capo della nostra linea. Nella stagione fredda questa parete è un po’ il mio piccolo Eiger
Arriva il 1989 e dopo due brevi itinerari aperti sulle solari e compattissime placche della Presolana Orientale, Ennio e l’inseparabile Gigi, accompagnati da Franco Nembrini tornano a nord, esattamente sulla Nord: “Nel settore sinistro della Nord c’era solo la via dei Moch, aperta negli anni sessanta, mentre nel settore destro della parete ad opera di Gregorio Savoldelli e soci, nel 1987 e 1988, erano nate due nuove vie di stampo moderno: “Un Giardino per Gianmario” e “Le Medaglie di Matley”. Anche noi volevamo lasciare un segno e quel grande pilastro grigio, bordato da volte strapiombanti, era molto bello ed invitante, anche se prometteva difficoltà sostenute. Per la prima ed unica volta abbiamo utilizzato alcuni spit in apertura, pensando ai ripetitori in alcuni punti dove eravamo passati con il solo utilizzo di chiodi, il secondo di cordata ha rimosso quelli poco affidabili e li ha sostituiti con uno spit. Studiando dal basso il probabile percorso della via, avevo notato una grotta in piena parete, appena fuori dalla linea di salita, poteva essere un ottimo posto da bivacco. Ci abbiamo bivaccato, si è rivelata una vera e propria suite a 5 stelle con muschio in terra e dimensioni di un monolocale”. Nasce così “Grande Grimpe” una via ancora oggi molto gettonata.
Nel febbraio del 1990 ci sono condizioni meteo particolari. Solitamente sulla nord il freddo non manca e la neve che si deposita in parete resta sempre polverosa e inconsistente. In quell’inverno l’alternarsi del freddo intenso, portato dai venti polari, con i rialzi termici causati dallo scirocco, confeziona un meraviglioso regalo per chi sa guardare ed aspettare: “Da anni seguivo questa linea di colate che speravo si collegassero tra loro. Ogni volta che salivo con gli sci al Timogno scrutavo la parete. Quell’anno sembrava che le condizioni fossero favorevoli. Resto in attesa sino a quando penso sia arrivato il momento giusto e allora chiamo Gigi, Marco e Vanni Gibellini. Durante l’avvicinamento avevo dei dubbi, ma dal primo tiro prendiamo atto che la situazione è ottimale e va oltre ogni nostra aspettativa. Saliamo la via in giornata ed interamente con ramponi e picche. Uno spettacolo! La linea non poteva che chiamarsi “Orobic Ice” e da allora non è stata più ripetuta, anche perché dubito che si sia più riformata
Ennio continua ad esplorare e a tentare nuove linee sia d’estate che d’inverno I progetti in cantiere sono molti, ma in questi anni si dedica soprattutto ad arrampicare su vecchi itinerari, poco o per niente ripetuti. È grazie a lui che linee bellissime come la “Placido” escono dal dimenticatoio e iniziano ad essere salite.
L’ultima nata è “In cammino con Marco e Cornelio” aperta il 9-10 settembre 2006 con Giangi Angeloni: “Il triangolone da anni mi aspettava. Siamo sempre sulla nord della Presolana di Castione: il mio piccolo Eiger. Dopo alcuni tentativi invernali il progetto si era arenato ai piedi di questo grande pilastro cuneiforme “il triangolone”. L’abbiamo salito d’estate in due giorni, in modo onesto e pulito, niente spit e con il minimo utilizzo di chiodi. Così andava salito. Al momento giusto. Un grazie di cuore a Giangi che mi ha accompagnato in questa bella avventura.” Questa linea è stata immediatamente ripetuta in solitaria da Ivo Ferrari e successivamente da altri alpinisti locali. Si tratta di una via lunga (sviluppo 500 m) e molto impegnativa, non tanto per le difficoltà che non superano il 6b, ma per la chiodatura ridotta all’osso e la difficoltà di integrarla posizionando protezioni veloci aggiuntive. Nella parte alta la roccia è compatta e di ottima qualità. la sua ripetizione è un grande viaggio, intenso e soddisfacente.
Alla richiesta di cosa combinerà ancora in futuro, Ennio sorride. “C’è tanto da fare. Ho qualche cantiere aperto che spero di portare a termine nei prossimi inverni. Ultimamente però mi sono dedicato alle ripetizioni di vie dimenticate. Recentemente mi sono emozionato nel percorrere la linea aperta sulla parete del Fupù, nel 1986, da Marco e Sergio dalla Longa, due carissimi amici purtroppo scomparsi. Il loro ricordo mi accompagna ogni volta che salgo ai piedi della Presolana
Olera - Marzo 2009

THE WRITER


THE WRITER - Arrampicare a volte è solo un pretesto, per ascoltare storie, custodirle e poi al momento giusto narrarle. Arrampicare su grandi linee solletica la mia curiosità, sono avido di conoscere, sono curioso di sapere. Sapere chi, per primo, ha sognato  di passare da lì, chi poi ha avuto la fantasia ed il coraggio di affrontare terre incognite. Sapere cosa ha pensato, cosa ha desiderato, cosa ha provato nel salire la montagna. Mercoledì con Matteo abbiamo accompagnato Ennio alla base della "sua parete" per sentire le "sue storie".

Matteo con sapienza ha colto gli attimi, fissandoli in migliaia e migliaia di pixel. Lo ringrazio per questo ritratto che coglie il piacere che mi spinge tra i monti e la gioia che vivo in attimi di vita verticale, tirando chiodi, accarezzando appigli ed ascoltando storie. L’altro giorno Matteo è tornato con scatti meravigliosi ed io con uno zaino pieno di piccole storie.
Grazie Ennio.



PRESOLANA DI CASTIONE - parete nord 
G.A.N. (Gruppo Alpinistico Nembrese),  700 m, VI+ A1
Cinque ottobre 1985, i colpi del martello di Gigi producono note metalliche, suoni che rimbombano nella valle e si inseguono in un gioco di echi, volando sopra i pascoli, tra le pareti. Con pochi colpi forti e decisi il chiodo entra nella fessura calcarea, il tenero acciaio si adatta alle forme capricciose della roccia. Gigi ha una forza impressionante, lui vuole sentirli cantare i suoi chiodi, prima di appendervi la staffa, di passarci un moschettone e poi la corda. Sopra la sua testa settecento metri di parete lo separano dalla vetta della Presolana di Castione, nessuno è mai salito da lì, diritti verso il cuore della parete. Ennio e Nello, i suoi amici di scalata, dal nevaio lo assicurano e ben presto lo raggiungono in sosta. Nei due giorni che li attendono, si alterneranno in testa alla cordata. Gigi aveva adocchiato già da tempo quella linea, che saliva la grande parete evitandone i canalini di sinistra o il sistema di cenge a destra. "La Ovest", come ancora oggi Ennio ama chiamarla, è una parete grande e complessa, la più selvaggia e più alta della Regina. Torniamo ora a Gigi e ai suoni del suo martello, per anni non si era mai azzardato a tentare quella salita perchè restava sempre perplesso e non convinto nella possibilità di trovare roccia di buona qualità. Ormai i tre si sono staccati da terra ed il loro viaggio ha avuto inizio, perplessità e titubanze vengono lasciati sul nevaio alla base della parete. Li attendono due giornate intense vissute in verticale, tra dubbi sul percorso da seguire, il bivacco in parete, la nebbia e la roccia a tratti esaltante e  talvolta mediocre.
Sono passati 28 anni ed ora eccomi qui ad assicurare Ennio sul primo tiro e sentirlo raccontare, mentre Matteo si muove sapientemente attorno a noi: "
Ricordo ancora come fosse ieri gli ultimi tiri. A causa di un temporale in arrivo, i capelli ci si drizzavano in testa per l’elettricità e l’aria friggeva. Poi ricordo che nel febbraio del 1990 sempre con Gigi, accompagnati a Marco Birolini, ci sono tornato d’inverno. Due giorni intensi e freddissimi per arrivare a capo della nostra linea. Che ci devo fare? A me piace questa parete e nella stagione fredda è un po’ il mio piccolo Eiger". Mentre racconta sorride, mentre racconta scala, a volte ride e poi tace, passa il moschettone nel chiodo e ci parla mentre lo carica con il suo peso. Brevi monologhi, anzi direi frammenti di dialoghi tra lui e quei pezzi d'acciaio piantati da Gigi nel secolo scorso.
In quel lontano 1985 nacque la “G.A.N.”, la via più lunga del massiccio, 700 m di sviluppo che percorrono l’imponente parete nord della Presolana di Castione. Una via meravigliosa per intenditori, una linea dal sapore antico dove se si tende l’orecchio, ancora oggi è possibile sentire l’eco del canto dei chiodi accarezzati dal martello di Gigi.