venerdì 23 agosto 2013

CINQUANT'ANNI DOPO



Il 9 e 10 febbraio 1963, Mario Curnis, Piero Bergamelli e Damiano Petenzi, salgono in prima invernale lo Spigolo Nord. Il 21 agosto 2013, in una giornata d’estate perfetta, Matteo Zanga ed io accompagniamo Mario Curnis ai piedi del grandioso versante nord dell’Adamello. Con calma risaliamo tutta la Val ‘d’Avio sino al Rifugio Garibaldi. Matteo scatta, scatta e scatta, con le sue fotocamere cattura attimi che raccontano persone, paesaggi, atmosfere. Io sono tra loro e chiacchiero e mi appunto ogni emozione, ci provo.

Per noi è l’occasione di ascoltare le mille storie che Mario ha da raccontare. Per noi è l’occasione di raccoglierle proprio lì, tra i monti dove tutto è accaduto, dove le sue parole risuonano con una vibrazione differente, forse più profonda. Risentire la storia del viaggio sul cassone del furgone, protetti da una vecchia trapunta. Riascoltare l’aneddoto delle picche portate e degli zaini dimenticati, le corse in motocicletta su e giù per la Val Camonica per recuperarli. Chiacchierare non più seduti attorno ad un tavolo, ma lì dove tutto è accaduto, ha un sapore differente. Mario su quella parete è poi ritornato per la prima invernale dello Spigolo nord-nord-ovest e, legato in cordata con Renato Casarotto, per ripetere d’estate lo Spigolo dei Bergamaschi. Gli occhi di Mario brillano, mentre parla e cammina, mentre parla ed osserva la parete, mentre parla e ti “pianta” il suo sguardo nei tuoi occhi. Scoprire ed indagare del suo rapporto particolare con la scrittura, sapere dei suoi diari, è stata una bella emozione. Conversare sul perché scrivere di se e sul potere che hanno gli infiniti neri che vergano il bianco della carta o di uno schermo, non solo mi ha piacevolmente meravigliato, ma ha stimolato la mia curiosità ed il desiderio di conoscere, andare oltre. Mario mi dice: <<Quanto scrivo “dico cose” che quando parlo non vogliono uscire. Quando hai scritto una cosa di te, quella è ormai uscita da te ed è lì sulla carta. Buttare fuori le cose, soprattutto quelle brutte, ti aiuta a capirle, a superarle, a guardarti avanti e vivere.>>
Un grazie di cuore a Mario per la bellissima giornata e per avermi regalato un poco delle sue storie.


giovedì 22 agosto 2013

PRESOLANA - PAPE SATAN


«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»
 cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia.»”
 

Ferragosto. Daniele ed io abbiamo salito Pape Satan, 12 lunghezze di corda per 500 metri di sviluppo. Questa è una delle quattro vie aperte sulla Nord da Tiberio Quecchia tra il 1994 e il 1995. Le altre linee sono Sim sala bim (1994), Greenpeace (1994) e oltre lo spigolo Castiglioni, sulla parete nord ovest, Emozioni verticali (1995). Alla base delle vie di Tiberio non c’è la coda, anzi sono pochissimo ripetute, queste linee sono avvolte da un alone di mistero e sono temute per l'impegno complessivo richiesto. Anni fa Dan, Yuri ed io avevamo salito Greenpeace, sulla carta era quella più abbordabile, e c'era pure piaciuta, poi abbiamo sempre rimandato l'appuntamento con le altre. Tiberio non l’ho conosciuto e purtroppo mai potrò conoscerlo. Lui ci ha lasciati nel gennaio 2001, travolto da una slavina, mentre saliva una cascata di ghiaccio in Val Daone.


Settimana scorsa Tito e Gibe hanno salito Pape Satan ed è stato uno stimolo per tornare sulle vie dell’alpinista bresciano. L’altro giorno è giunto il momento, quasi 10 ore in parete per decifrare il rebus creato da Tiberio e seguirne i passi, la successione di appigli ed appoggi, meravigliandosi delle capacità, della forza e della sua gran classe. Aprire una linea del genere ancora oggi è cosa da pochi. La roccia non è eccezionale e si naviga tra muri e strapiombi, i chiodi sono pochi e le difficolta sempre sostenute. Sul primo tiro dopo la placca non salgo verso destra e mi perdo a sinistra, vedo una sosta, ma da lì si può solo scendere. Mi calo alla cengia, sfilo e riparto verso destra, la roccia è veramente fetente. Sul quarto tiro uno dei pochi spit del 6, che Tiberio aveva piantato in apertura, è rotto. Dan risolve con eleganza, l’obbligato è alto, si deve scalare lungo lo strapiombo tra i due chiodi. Sul quinto tiro lungo cerco la via in un mare di placche verticali. Ogni volta che trovo un chiodo o riesco a metter una protezione, tiro un bel respiro di sollievo. Ogni appiglio è da verificare, scalo concentrato e in quegli attimi non penso alla possibilità di volare. Non ci pensi perché non devi volare, non ci pensi perché sai che quelle difficoltà le sai gestire, non ci pensi perché un volo potrebbe avere conseguenze disastrose. Quindi concentrato scali e ti godi i movimenti, il vuoto, la roccia, i pensieri, il cielo. La parete è verticale, salgo placche di grigio calcare. Arrivo ad un chiodo e passo il moschettone nel chiodo, è buono. Passo la corda nel moschettone e riparto. Posiziono il piede sinistro su un gradinetto, il destro in un buco, mi allungo con la mano sinistra e oltre un bordo trovo un buco bellissimo, profondo ed ampio, di cui stringo il margine come fosse il bordo di un lavandino o come direbbe Danile , il bordo del water, lo tiro e spingo sui piedi. Con la mano destra punto a delle lame verticali e le batto con le nocche per sentire se sono sane, suonano male, poco più a destra c'è un piccolo labbro verticale che esce dalla roccia, lo batto e suona bene, lo prendo e lo tiro un poco. Ok. Ora devo proprio trazionarlo per potere spingermi sui piedi, staccare la mano sinistra con cui devo andare a prendere una bella tacca sana che ho visto più in alto. Nell'istante in cui tiro il labbro, poco prima di staccare la mano sinistra, questo si spezza, mi si sbriciola in mano, perdo l'equilibrio,  scivola via anche il piede destro. Mi trovo a sbandierare appeso per la mano sinistra e appoggiato sul piede sinistro. Loro sono due cardini ed io una porta aperta sulla parete, con mano e piede destro nel vuoto. Scarica di adrenalina. Il chiodo è vicino, resto tranquillo. Ripunto il piede destro nel buco e cerco un altro appiglio per la mano destra, mi riposiziono. Ok, riparto.

Se scali da una vita e ami questo tipo di itinerari, sai che può capitare, infatti verifichi sempre bene tutti gli appigli e gli appoggi, perché se uno cede, gli altri devono garantirti di non decollare. Però, oggi, questo piccolo fatto, mi ha svuotato di tanta energia e, arrivato in sosta, mi ha riportato ai pensieri della mattina. Quelli lungo il sentiero, quelli dei perché, quelli delle elucubrazioni, quelli della felicità e del dolore. In quel momento mi sono rifatto quella domanda e mentre continuavo a scalare mi sono risposto - Io sono felice, consapevole che sono, che siamo, sempre in bilico su una fune – Arrivo in sosta. Quando tocca a me andare da primo sono vuoto, indeciso, cedo il comando a Daniele.
Daniele arrampica lentamente, elegante e con sicurezza, la lunghezza di 6a+ che dovevo fare io si rivela molto più dura, forse un buon 6b+. Poi c'è un tiro che la relazione da in artif. Daniele sale leggero e concentrato e lo percorre in libera potrebbe essere un 7a+. Mentre lo percorro da secondo appendendomi ai pochi chiodi e scalando a volte un una roccia solidissima e altre su appigli che sembrano si stacchino da un momento all'altro, resto ammirato della bravura del mio amico ed ancora una volta, arrivato in sosta, con Daniele ribadiamo il fatto che Tiberio era un grande alpinista e che ben presto dovremo completare la collezione dei suoi itinerari.
Però qualcosa continua a ronzarmi nella testa, una curiosità, una domanda che avrei volentieri fatto a Tiberio: "Perché l’hai chiamata Pape Satan? Dante Alighieri, la Divina Commedia e la paura che ci torrà lo scender questa roccia, hanno qualcosa a che vedere con questa tua avventura verticale? "
Purtroppo non saprò mai la risposta, potrò solo seguire le sue tracce e sognare.

lunedì 19 agosto 2013

IN CAMMINO CON MARCO ANGHILERI


Il vento soffia tra le guglie della Grignetta. Le nebbie salgono dalla Valsassina a sfilacciarsi lungo la cresta Senigalia, sino ad avvolgere i Torrioni Magnaghi. Saliamo veloci e ci concediamo brevi soste per due chiacchiere, una battuta. Marco mi guarda, i suoi occhi sembrano ridere, e dice: “Ascolto le sensazioni e poi vado”

Così ha inizio l'articolo che troverete nel numero di settembre della rivista Orobie, una storia nata da una giornata a spasso per le Grigne e documentata dai meravigliosi scatti di Matteo Zanga
Marco ritratto da Matteo
"Ho bisogno di respirare" dice Marco. Matteo ed io lo seguiamo tra le sue montagne, sulla sua Grignetta, e tra le guglie chiacchieriamo, camminiamo e arrampichiamo. Ne nasce non solo l'articolo ma anche questo video: un'intervista in cammino che ci svela l'indole più intima di un grande uomo, che non è solo un forte alpinista.