venerdì 13 settembre 2013

PICCOLE STORIE #7



Ferragosto

Ieri per l’intera giornata il cielo è stato oscurato da gonfie nubi nere. Si muovevano lente da ovest, riversando il loro carico di pioggia sulla terra inaridita dalla calura incessante delle trascorse settimane. Una danza di gocce a ripulire l’aria, rigenerandola per la nostra pelle, i nostri polmoni. Una sinfonia liquida ad allontanare quella sensazione umida e appiccicosa, quel soffio incessante di aria riarsa che ti svuota da ogni energia. Verso sera il vento ha ramazzato via l’ultima calura, da ogni angolo, strapazzando le nubi, disperdendole. Oggi, mentre gli ultimi vapori si dissolvono, giocando nelle valli e tra i crinali, salgo verso un cielo terso che incornicia i profili dei monti. Perché tornare sullo stesso sentiero? Perché salire ai piedi della stessa montagna? Perché rifare ogni volta lo stesso percorso? Perché ostinarsi a camminare, correre, scalare? Pensavo a questo mentre salivo ai piedi della Nord. Perché fare cose folli e apparentemente senza senso? La medesima domanda declinata in mille differenti modi si ripeteva nella mia testa, mentre osservavo i miei piedi avanzare sul ripido sentiero, nell’umidità del primo mattino, sulle rocce ancora scivolose, la terra pregna d’acqua e la vegetazione stillante mille gocce iridescenti. Forse perché viviamo, perché qui e ora semplicemente ci sentiamo vivi. Disarmato non riuscivo a trovare altra risposta e riflettevo. Tornare e ritornare sui propri passi non è un segno di ostinazione, ma è sintomo del desiderio profondo di rivedere sempre lo stesso angolo di mondo e scoprire che è sempre differente. Scoprire che la bellezza delle cose è sempre lì per noi, forse è banale ma non è sempre scontato. Mentre il nuovo giorno si accendeva, il corpo madido di sudore faticava e la mente pigramente vagava, è stato magnifico salire tra quei vapori sino sotto la Nord inondata dal sole. Sorridevo, non avevo più pensieri e domande, ora poche parole pulsavano delicatamente in un angolo recondito della mente e come un mantra si ripetevano. Scoprire che la bellezza delle cose è sempre lì per noi. Sorridevo e scuotevo la testa alzando gli occhi verso l’imponente parete, sedotto da un sentiero strano, una traccia labile tutta da decifrare che forse solo occhi avidi di bellezza potevano vedere.