venerdì 9 dicembre 2016

18 #PICCOLESTORIE

SCRIVERE E' UN PIACERE - UNA GIORNATA DI PIOGGIA

Oggi piove, gocce d’acqua lavano l’aria. Le temperature si sono abbassate, in casa ho acceso il camino. Scrivo ed osservo dalla finestra mentre tu leggi un romanzo davanti al fuoco. Esco sul terrazzo, mi immergo nell’aria fredda e nel rumore della pioggia che cade sugli antichi tetti e sul bosco dormiente. Chiudo la felpa e osservo. Poco dopo rientro e poso una mano tra i tuoi capelli, per una carezza, e ti saluto. Mi cambio ed esco sotto la pioggia. Ora è meno intensa. Corro lungo la mulattiera e salgo al poggio mentre le campane di San Grato invadono con un suono allegro la vallata, richiamando i fedeli a chissà quale cerimonia. Ognuno in fondo ha la sua cerimonia, il suo rito. Questo scampanio mi piace e a lungo mi accompagna. Corro nei colori che si sfrangiano ai mie lati, in un caleidoscopio che tutto raccoglie, miscela e rimanda. Per un attimo vedo distintamente la gemma gonfia, il germoglio delicato, la corolla di un anemone, la scorza gocciolante di una quercia, le foglie che macerano a terra, la selce che affiora dal calcare, lo stillicidio da una roccia aggettante. Migliaia di fermi immagine per il mio sguardo, per un istante solo, immobili, prima di fluire come infiniti fotogrammi. Il mondo e la natura si avvicinano, si fermano per poco negli occhi, mi lasciano e vanno oltre, dietro le spalle. Forse sono loro che si muovono ed io sono fermo. Sento belare, dietro la curva il piccolo gregge è un muro compatto sulla mulattiera, lo attraverso. Lana bagnata sfrega la pelle nuda delle gambe, saluto Costantino, lui mi guarda divertito da sotto il suo ombrello, un rapido scambio di battute e sono oltre, quasi al Casello. Gli occhi corrono più delle gambe, attenti ed ingordi per cogliere di più, sempre di più, e prestano attenzione ad ogni passo, ad ogni appoggio, alla pozza, al fango, alla pietra scivolosa, al ghiaietto sdrucciolo. È incredibile eppure accade. In frazioni infinitesime di secondo il messaggio va dagli occhi al cervello e da lì viene smistato ai tendini, ai legamenti, ai muscoli. La macchina corporea si adatta immediatamente applicando il giusto appoggio, la corretta angolazione, la spinta precisa che deve imprimere per non scivolare e per spingersi avanti nello spazio e nel tempo. Il mondo interiore mi affascina quanto quello esterno. La nostra natura umana e la natura del mondo si parlano attraverso i sensi ed i piedi, in un dialogo serrato e senza fine. L’aria è satura di suoni, i suoni della natura ed i rumori sempre diversi dei miei passi. Passi sul sentiero, sull’asfalto, sulla mulattiera, sull’erba bagnata. A volte le nubi avvolgono il bosco ed oltre il groviglio di tronchi e rami c’è solo il grigiore luminoso del vapore e di migliaia di gocce d’acqua giunte chissà da dove per dissetare questo angolo di terra. Sono fradicio e corro. Penso all’attimo in cui rientrerò nel tepore della casa, penso a te raggomitolata sul divano, davanti al camino. Alla doccia calda che mi attende. A quella sensazione di stanchezza e fatica che invade il corpo dopo ogni corsa ed ogni volta mi fa sentire vivo. Perso nei miei pensieri, continuo a bearmi del mondo che mi circonda e di tutto ciò che mi racconta
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