domenica 10 settembre 2017

35 #PICCOLESTORIE - Sette in condotta.


"Voi dell'ultima fila! Siete i soliti!" Tuonó dalla cattedra, con voce chioccia, la prof dal colore scialbo e diminutivo. "Voi avete sempre qualcosa da dire!" Continuò, rincarando la dose. "Voi non fate mai parlare i vostri compagni. Voi prevaricate gli altri, volete sempre avere ragione. Voi non lasciate spazio perché gli altri possano esprimersi."
I ragazzi, quelli dell'ultima fila, si guardarono tra loro stupiti, cercarono di replicare e argomentare, con poca forza, inutilmente. La prof era un fiume in piena. Qualcuno nelle file davanti, sogghignava con una certa soddisfazione, pensando che quelli dietro se l'erano meritata, quella strigliata.
La lezione riprese ma la tensione non si sciolse, l'atmosfera in aula era pesante, l'attenzione era ormai persa. Anzi lo spazio si saturava di elettricità come prima di un temporale.
Dopo qualche istante di silenzio il brusio di fondo iniziò a crescere sino a stabilizzarsi. Ognuno parlottava con il vicino di banco e chi non lo faceva lo avrebbe fatto volentieri ma non osava, per non esporsi alle ire della prof. Nell'ultima fila il dibattito ferveva.
"Ma che cazzo vuole questa stronza! Lei e le sue schede del cazzo."
"E ci siamo pure fatti il culo, facendo approfondimenti di argomenti fuori dal programma, per poi relazionali alla classe"
"La prossima volta le civiltà Precolombiane se le può mettere dove dico io."
"Certo che sono cose che interessano a noi. Ma avevamo concordato insieme il lavoro da fare, e adesso ci tratta così. Che merda!"
"Lo avevo detto io che prima o poi ce l'avrebbe fatta pagare per non essere andati a quelle cazzo di cene in cascina con lei e gli altri compagni."
"E adesso cosa facciamo con tutto il lavoro sul sindacato di Danzica, Lech Walesa, Solidarność e la caduta del regime in Polonia?"
"Che stronza! Dare la colpa a noi perché gli altri non hanno voglia d'intervenire e dare il loro contributo."
"Non è giusto, io alla fine dell'ora le vado a parlare, a chiedere ragione di questa parte che ci vuole far fare. Non è giusto."
La lezione stava finendo, la campanella suonó liberatoria, ma non ci fu il fuggi fuggi generale che caratterizzava l'ultima ora. C'era un senso di incompiuto che aleggiava nella classe, l'attesa che qualcosa venisse portato a termine. Un ragazzo di alzò dall'ultima fila, si mise la cartella a tracolla, percorse lo spazio libero contro la parete di destra e si avvicinò alla cattedra. La prof lo squadrò con aria di sufficienza mentre continuava a raccogliere e riporre nella borsa il suo materiale.
"Mi scusi prof. Non è giusto quello che lei ha fatto e come ..." non lo ascoltó e nemmeno lo fece finire. Con sprezzo lo guardó mentre preparava le parole che avrebbe usato, sapendo di ferire. "Vedi che ho ragione! Sei ancora qui a volere dire la tua. Sono quelli come te, come voi, che non state mai zitti, che prevaricate con le vostre parole gli altri, ad essere responsabili della nascita dei regimi fascisti"
Il ragazzo imprecò quasi urlando, si protese verso la prof, sbattendo la cartella con forza sulla cattedra. Lei impaurita, bianca in volto e non solo nel nome, si ritrasse scompostamente. Aveva colpito con cattiveria e l'esatta volontà di fare piegare definitivamente la testa a quella banda di mocciosi superbi. Ma non si aspettava una reazione simile. Raccolse le sue ultime cose e abbandonò l'aula.
Lui, a quella parola perse il controllo, forse urlò "Fascista è lei!" E senti le mani dei suoi compagni che lo fermavano, trattenendolo mentre lo trascinavano fuori dalla classe.
Il giorno dopo fu convocato in Presidenza, con lui anche una sua amica dell'ultima fila. Dell'accaduto non ne fece parola nessuno ne i professori ne il preside. Contestarono loro delle presunte firme false, raccolte qualche giorno prima, utili a chiedere in uso l'aula magna per un'assemblea. Nessuno degli adulti ebbe il coraggio di dichiarare il vero motivo per cui i due ragazzi si ritrovarono al termine del primo quadrimestre con un'ipoteca sulla loro promozione, siglata da un ingiusto sette in condotta.

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