mercoledì 8 novembre 2017

36 #PICCOLESTORIE – Ero straniera.


"Oh qu’elle est belle notre chance
Aux milles couleurs de l’être humain 
Mélangées de nos différences 
A la croisée des destins"
Zaz – On ira


Lei ha un bello sguardo, fiero. Lui ha gli occhi chiusi, dorme. Lei. Capelli raccolti sotto un foulard. Giubbetto di pelle, rosso. Jeans sdruciti, come usano le ragazze oggi. Lui. Cappellino rosso, fatto a maglia, come quelli che mi faceva mia mamma quando ero piccino. La guancia spalmata sul giubbotto di pelle rossa. Il corpo abbandonato in una fascia multicolore che lo stringe sulla schiena di lei.
L’altro fine settimana non ho fatto nulla. Beh! Non proprio nulla in senso assoluto. Intendo dire che non ho fatto nulla in montagna. Nemmeno mezza giornata. Neppure una manciata di ore a girovagare tra i boschi dietro casa. Non sono andato a correre. Non sono andato a scalare. Non sono andato in mountain-bike. Nessuna attività fisica all’aria aperta. E tutto questo è abbastanza strano, per me.
La sera della domenica ero comunque un po’ stanchino, giusto per citare Forrest Gump, e decisamente soddisfatto del mio fine settimana diverso.
Tra sabato e domenica ho passato oltre dieci ore a ricevere persone, chiedere loro il documento di identità, traschiverne i dati sui moduli e certificarne la firma. Ne abbiamo raccolte oltre duecento. Signore anziane, compunte e silenziose. Giovani studenti, freschi dei loro diciotto anni. Signori di mezza età, ciarlieri e caciaroni. Genitori sorridenti, con i figli per mano. Persone che chiedevano dettagli della proposta di legge per cui firmavano, mentre altri già sapevano. Nell'atrio gente che discuteva e fuori, nella piazzetta, un flusso costante di persone che seguivano il percorso e le tappe di una mostra un poco particolare. Tutti lì per conoscere, comprendere e testimoniare, per dire che un'altro mondo è possibile. Un mondo dove la gente non muoia in mare, su barconi fatiscenti alla deriva.
Da dentro la sala percepivo un'atmosfera gioiosa e in un attimo di pausa, mentre sistemavo i moduli, mi sono messo a canticchiare la canzone di Zaz "On ira", che in quella situazione ci cascava a pennello.
Poi è entrata lei, e lui che dormiva pacifico conto la sua schiena. "Sono venuta per firmare" mi ha detto, mentre, con orgoglio, mi ha mostrato la sua carta d'identità. Ho trascritto i suoi dati, le ho porto il modulo e la biro per la firma. Ci siamo guardati. Le sorridevano gli occhi. Ha firmato e ci siamo salutati. Il bimbo nemmeno si è accorto. Lui, chissà cosa stava sognando.
Durante la giornata sono arrivate altre donne di origine africana e mediorientale, tutte accomunate dal medesimo sguardo fiero, che ne rivendicava le origini, e dall'orgoglio di mostrare il documento d'identità del paese che le ha accolte, del paese dove vivono, dove lavorano e dove cresceranno i loro figli. Loro, cittadine italiane.
Certamente viviamo momenti drammatici, acuiti dall'ignoranza, dalla disinformazione, dai luoghi comuni. E poi le nostre leggi e i nostri governi non sono di grande aiuto per prospettare percorsi che affrontino il fenomeno delle migrazioni in modo razionale ed organico.
Ma come spesso accade la realtà é sempre più avanti e a volte basta una mostra ed una firma per fartene intravedere la complessità e le possibilità per un futuro diverso.
A noi non resta che provare, con piccoli gesti, a gettare nuove basi da cui ripartire, senza perdere la speranza e la gioia.
Firmare per la campagna di "Ero straniero" può essere uno di questi piccoli gesti, affinché un giorno tutte le Aziz arrivate da oltre mare possano dire "Ero straniera".
(Foto Angelo Gregis)

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