giovedì 1 marzo 2018

#neve - Rudere



“Rudere – così recita la Treccani - rùdere s. m. [dal lat. rudus -dĕris].
1. [spec. al plur., ciò che rimane di costruzioni antiche].
2. (fig.) [persona molto mal ridotta] ≈ (fam.) cadavere (ambulante), (fam.) carcassa, (fam.) catorcio, (fam.) ciabatta,...”

Se devo raccontare la giornata di ieri questa è la parola e questa è l’immagine. E se un’immagine dice più di mille parole anche una parola può evocare più immagini.
Mi fermo a lungo di fronte a questo rudere avvolto nella neve, affascinato dalla sua immobilità caparbia a sfidare l’incedere del tempo; discreta traccia, che il vivere dei nostri antenati ha lasciato tra i monti e che emana ancora un fascino magnetico. E allora ascolto e mi sembra di udire le storie che quelle pietre d’angolo raccontano. Piccole storie quotidiane in cui alla trama fatta di lavoro e di fatica si intrecciano i piccoli ed esili fili della gioia e della meraviglia che certamente, anche per pochi istanti, hanno portato un impercettibile sorriso sui volti che furono.
Ed ora cambio prospettiva ed osservo chi sinora ha osservato, colui che è dietro all’obbiettivo della macchina fotografica. Sempre la parola rudere mi viene in soccorso ma con il suo secondo significato, non più quello specifico bensì quello figurato. Nulla a che vedere con la nobile immobilità delle costruzioni antiche, lo spettacolo riserva la vista di un umano rudere che si trascina nella neve, cercando di tenere il passo dei soci ormai scomparsi oltre l’orizzonte. Già! Ieri ero fottutamente stanco e malridotto, ma oggi, davanti al camino e con le dita che pigiano sulla tastiere, mi sento un leone. E fuori nevica.

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